Che la “legge del desiderio” possa trovare un limite soltanto nel “desiderio della legge” non è un semplice gioco di parole: è una di quelle espressioni necessariamente equivoche con cui il linguaggio deve sforzarsi di illuminare la struttura paradossale del “discorso morale”.
Vladimir Jankélevitch (1903-1985) insegnò nelle università di Tolosa, Lille e alla Sorbona. Tra le sue opere filosofiche: H. Bergson, 1931, L’odyssée del la conscience dans la dernière philosophie de Schelling, 1933, Traité des verrtus, 1949, Le je-ne-sais-quoi et le presque-rien, 1957, La mort, 1966. Pianista e musicologo, ha scritto saggi su Liszt, Fauré, Debussy e Ravel. In italiano sono stati tradotti recentemente La musica e l’ineffabile e La coscienza ebraica.