La pittura di Fausto Bertasa, nascente dalla tensione e articolata dalla sintassi pittorica, è simile a un linguaggio per segni, come quello dei non-parlanti. Guida l’occhio dell’osservatore attraverso le sue forme, i suoi movimenti, i suoi luoghi di memoria, come avviene nella musica. Nel tessuto cromatico si trovano colori svariati, come quello della terra che va dall’ocra al marrone, che si somma alla sua catena archetipica e di molti dei suoi frutti, come il caffè, il cacao, la cannella, al rosso, colore di energie deflagranti, pulsioni aggressive, lotta cruenta e animalesca, umori che si attagliano all’endemica povertà dei popoli. Quindi il lavoro partecipa, psicologicamente, alle dimensioni dell’inconscio quale giacimento di contenuti, energie, impulsi e germi vitali. Bertasa ha fatto entrare nel suo laboratorio mentale gli scenari tipici di popoli, merci, contratti, viaggi per cercare dietro le parole e le immagini i segni di un dialogo. C’è inoltre un dialogare con la multimedialità, con computer, reti a fibre ottiche, pagine di cronaca, loghi, tutti riprodotti, sovrapposti, mescolati, riscritti, dando vita a un nuovo sistema segnico e poetico.